Brevi note sull’ABITUDINE, oggetto dell’incontro con Federico Bellini (14.11.2021)

Ottimo incontro splendidamente organizzato e come sempre stimolante le diverse riflessioni dei partecipanti. 

Nel sentir comune, l’abitudine è tradizione, stasi, mentre il cambiamento è progresso, operosità. Il diritto pubblico valorizza l’abitudine negli usi civici, mentre il diritto privato la riconosce nella consuetudine, negli usi e costumi. L’inerzia non è un disvalore quando il mancato esercizio di un proprio diritto si traduce nell’usucapione a vantaggio del possessore continuativo senza titolo, decorso un determinato periodo di tempo. Ma a fronte di un vincitore, in controversie di questo genere, c’è sempre uno che perde (il diritto di proprietà).

Il tema dell’abitudine nell’illecito e l’aggravamento della pena del delinquente abituale, di cui ha parlato l’avv. Emanuele Carta, è la traduzione nel diritto di ciò che è riprovevole nella morale. I vizi, nei gironi infernali erano, anche per Dante, la reiterazione di condotte abitudinarie, non virtuose, che se fossero isolate e sporadiche avrebbero l’attenuante del Purgatorio. Questo per dire che la nozione di abitudine richiama la ripetizione, la quale non è mai espressione di un’azione virtuosa, che rompe gli schemi, ma è assuefazione dell’essere passivo a discapito dell’essere dinamico e creativo.

In genere il progresso viene associato al dubbio e al dinamico pensiero critico e non allo statico pensiero dogmatico, mentre la ragion pura di Kant e la memoria pura di Bergson (o “memoria ricordo”, secondo il nostro relatore), ci aiutano a progredire a fronte delle memorie non concettuali ma incorporate dei più. Il sonno della ragione genera mostri. Il progresso è sempre opera delle minoranze e dei pochi innovatori e visionari che hanno lo sguardo lungo, che rompono gli schemi, che guardano avanti.

Condivisibile è lo sforzo di riabilitare l’abitudine nei suoi (pochi) aspetti buoni, nell’immaginare il “pilota automatico” della nostra coscienza, che ci fa agire per il meglio senza perderci a ragionare. Le nostre azioni quotidiane sono abitudinarie più di quanto possiamo renderci conto, quando la ripetizione e l’omologazione servono a vivere inosservati in società, al quieto vivere. Altra cosa sono gli ideali e i princìpi, che devono guidare la nostra condotta, anche nella ribellione, in antitesi all’abitudine, quando uno Stato si rivela dittatoriale o autoritario. 

L'abitudine diventa abitabile, pur nella ricerca del tempo perduto, se viviamo in una scioltezza nell’agire proustianamente virtuosa che non conduce mai al vizio. Certamente il tema è ampio e il tempo è mancato, soprattutto a Roberto Caracci per potersi esprimere al meglio cogliendone gli svariati aspetti nel suo forzatamente breve intervento.

Da parte mia riterrei utile affrontare, in un prossimo incontro, i temi dell’attitudine e della abilità, ricordati da Roberto Maria Pittella, la prima frutto della memoria-abitudine, e la seconda risultato della memoria-pura, perché l’apprendimento è una prerogativa non solo animale e umana, ma anche inorganica e artificiale, per i recenti sviluppi dell’Intelligenza Artificiale, come potrà confermarci il nostro Giulio Beltrami.

Mi viene ora in mente la distinzione, in un saggio di Husserl, tra intenzionalità, cui pertiene l’istinto e la volontà, e la coscienza, che presuppone l’abitudine e l’etica. E qui ricordo i nostri precedenti incontri, perché riuscire a definire la “coscienza” è uno dei compiti talmente affascinanti che mettono in virtuosa e non abitudinaria sinergia la filosofia con le neuroscienze.

Avv. Giovanni Bonomo – Candide C.C.





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