PENSIERO CRITICO E FEDE RELIGIOSA

(Intervista dello scrittore Angelo Gaccione all’avv. Giovanni Bonomo, promotore culturale e fondatore del Centro Culturale Candide)

D.: La Sua ultima pubblicazione non giuridica, un libretto di acrostici poetici dal titolo SENTO DIO, ha stupito coloro che conoscono il Suo pensiero radicalmente laico. Si tratta veramente di una Sua conversione?

R.: Il titolo è bonariamente provocatorio in quanto inteso a fare riflettere. Da sempre mi scontro, come libero pensatore, con la superstizione religiosa in una nazione di inaudito fondamentalismo cattolico. Ma si tratta, a ben vedere, di “laici devoti” più che di “credenti”. Perché sia chi dice di essere cattolico sia chi dice di essere laico, in verità non conosce la Bibbia e non ha letto i Vangeli. Come si può vedere la “parola di Dio” in frasi che sono l’antitesi dell’intelligenza e un’offesa all’idea stessa del divino? Con questo libretto vorrei semplicemente rivendicare che la moralità e la spiritualità non sono affatto prerogativa della religione e che sentire Dio è cosa affatto diversa da credere come inteso dalle religioni basate sulle “verità rivelate”.

D.:  Vuole dirmi che sente Dio senza credere in Dio? Potrebbe chiarire il Suo pensiero?

R.:  Credere è un autoinganno del pensiero che, per pigrizia, debolezza o paura, compie un atto di fede, in mancanza di ogni evidenza “sensibile”. Pensare è, di contro, un'azione responsabile, a volte anche coraggiosa, che ha permesso all'uomo di evolversi.  Sentire è un atto di partecipazione, anche non intellettuale (ad es. tramite la meditazione), alla natura dell’Universo, che può essere anche chiamato Dio. In definitiva i credenti sono i primi a bestemmiare se hanno un’idea così infima del divino da credere nel dio biblico assetato di sangue e di vendetta, genocida e per niente amorevole, né onnipotente e meno che meno onnisciente, proprio perché creato a loro immagine e somiglianza. Ma intanto la deriva culturale del nostro Paese fa da terreno fertile al credo religioso, che in nulla differisce dalla superstizione. Secondo le ultime indagini ISTAT, il 55 per cento degli italiani non ha mai letto un libro. Nemmeno la Bibbia, aggiungo io, per questo sono credenti.

D.: Ma il concetto di sacro come lo giudica?  

R.:  Il Cristianesimo ha tolto quella religiosità e quel senso di sacralità che le antiche religioni politeistiche avevano per l’arte, per la scienza, per l’istruzione, per la vita stessa.  Tutto è stato soppiantato da un concetto surrettizio di “sacralità” che impone solo il vittimismo sacrificale di Cristo. Il mistero del dio che si fa uomo e si fa carico della sofferenza del mondo non è altro che il tentativo di rendere più accettabile un dio troppo lontano e di avvicinarlo alla condizione umana. Come nelle precedenti religioni basate sul culto del sole il redentore muore e poi risorge, in modo da prospettare per l’uomo un destino di salvezza oltre la morte. Ma la salvezza dell’anima deve passare necessariamente attraverso il dolore. Il caso Englaro è emblematico di questa concezione. Se pensiamo invece che tra le cose sacre ci debba essere la lettura, l’amore per il sapere, l’erudizione, i libri, allora anche il sapere scientifico sarà libero di esprimersi, e di progredire anche in campo medico, fino a trovare la soluzione anche ad ogni stato comatoso, impedendo per sempre tragedie simili. In ogni caso dovrebbe essere garantito il diritto di decidere quando e come morire senza che nessuna Chiesa e tanto meno nessuno Stato possa imporci di “vivere” in un corpo che non funziona più contro la nostra volontà. La Chiesa si erge a paladina di valori universali come l’amore, la fratellanza la solidarietà, la carità. Ma esaminiamo la storia: le può veramente competere tale ruolo? Qualcuno mi dirà che la Chiesa ha riconosciuto i propri errori e ha chiesto scusa. Ma scusa a chi? A Dio, non agli uomini.

D.: Crede nel dialogo tra le diverse fedi?

R.: Ogni persona religiosa che resta attaccata al cristianesimo, all’ebraismo, al buddhismo o all’islamismo dà un tacito sostegno alle divisioni religiose nel nostro mondo. Il dialogo interreligioso è un’utopia perché ogni religione si presente come l’unica vera di fronte alla altre. La stessa considerazione logica che tutte le religioni non possono essere tutte vere dovrebbe già fare riflettere circa i fondamenti della propria fede. Un passo avanti sarebbe riconoscere che il rispetto che esige il proprio credo religioso fornisce protezione agli estremisti di tutte le fedi.

D.: Pensa che si debba distinguere tra pensiero religioso e fondamentalismo?

R.: Il caso di Ipazia di Alessandria, rievocato recentemente dal film intitolato “Agorà“, è esemplare e dovrebbe svegliare le coscienze, ma non ho letto nella stampa italiana una sola recensione che andasse al nocciolo della questione che Lei mi pone. Il film dimostra, come del resto la stessa storia dell’umanità, che la fede è destinata a trasformarsi in fanatismo e brutalità. Ipazia fu donna colta e desiderosa di aiutare gli altri con la sua sapienza al servizio di nessuna fede ma solo del prossimo, e per questo fatta a pezzi a colpi di sassi, cocci e conchiglie in un’Alessandria d’Egitto, ormai devastata dai Cristiani integralisti, l’8 marzo 415. Fu una battaglia tra scienza e fede  che la filosofa perse per mano di uomini mandati dal vescovo Cirillo, ma divenne prima martire del libero pensiero. Da allora i valori di riferimento non saranno più la filosofia, la matematica, l’astronomia: il Cristianesimo imponeva a tutti l’ignoranza, la penitenza, la liberazione dai peccati. Il sapere sarà maligno, luciferino, inadatto sia agli scienziati che al volgo. Fu proprio allora che nacque l’idea dell’indice dei libri proibiti. E’ significativo il ritardo di due anni rispetto agli altri Stati, con il quale è uscito in Italia il film: ancora oggi la Chiesa cattolica mette al bando libri e intellettuali e, dato che la tecnologia si è evoluta, anche film e programmi televisivi.

D.: Dal cesaropapismo dell’Impero Romano d’Oriente di allora si sono fatti progressi, ora pressoché tutti gli Stati moderni riconoscono il principio di laicità e di non interferenza della religione con la politica.

R.: Da noi, caso particolare perché la città del Vaticano è un’enclave del nostro Stato, vige il Concordato come è stato rivisto nel 1984 per riformare materie (matrimonio, sostentamento del clero, scuola) in modo adeguato alla Costituzione. Ma la visione di Cavour, libera Chiesa in libero Stato, non si è mai pienamente realizzata – e lo dico proprio oggi, 20 settembre, ricorrenza della liberazione dei sudditi romani dallo stato pontificio e della Stessa Chiesa cattolica dal fardello del potere temporale – a causa soprattutto della debolezza della politica italiana, come ancora oggi avvertiamo su argomenti come il testamento biologico, la pillola abortiva e gli anticoncezionali, l’insegnamento religioso nelle scuole, etc. Questo significa che sono trascorsi sì milleseicento anni ma siamo ancora allo stesso punto, perché anche in un’era di comunicazione digitale la fede resta cieca, condiziona le coscienze e si pone come un firewall alla conoscenza e al confronto. Resta difficile ragionare e discutere con chi “crede”. Un’amica giornalista mi risponde sempre “nel dubbio meglio credere, tanto non costa nulla, e poi non credere mi fa paura”. E’ la c.d. scommessa di Pascal. Ma qui non è in gioco solamente l’esistenza e l’inesistenza di Dio, ma ciò che consegue a questo dilemma, vale a dire la più pericolosa invenzione dell’uomo per scongiurare la paura della morte: la religione.

D.: Dunque tra fede e ragione c’è un abisso…

R.: Lo stesso termine fede significa credere senza ragione. Così viene definita in tutti i dizionari: “credenza che non si basa su prova logica o su evidenza”, oppure “credenza in qualcosa di cui non c’è evidenza”. Come possono coesistere fede e ragione? La ragione esige che tu cerchi evidenza e che tu orienti le tue credenze in base a tale evidenza, così come facciamo quando ci fidiamo di un amico perché è stato affidabile in passato, o quando dubitiamo di un pettegolezzo finché non abbiamo controllato i fatti. Il senso dell’educazione universitaria è di imparare a pensare da soli, a criticare le teorie, a confrontare idee e a scoprire la verità mediante la ricerca, l’indagine, l’esperimento. Laddove invece si creda a qualcosa senza ragione o evidenza, allora si diventa vittime di ogni tipo di dogma, arbitrarietà, costrizione o pericolosa idea virulenta che si trovi in giro. Se si resta convinti che sia accettabile basare le proprie convinzioni su ciò che è scritto in un libro antico, o su ciò che qualche insegnante carismatico dice di credere, allora non si avrà alcuna vera libertà di pensiero.

D.: Ma la religione non può essere utile per creare i fondamenti dell’etica e della morale?

R.: La storia dimostra come tutti i nostri sforzi di fondare l’etica sulla concezione religiosa del “dovere morale” siano miseramente falliti. Non appena iniziamo a pensare in modo serio alla felicità e alla sofferenza, scopriamo che le nostre tradizioni religiose non sono più affidabili sulle questioni etiche di quanto lo siano sulle questioni scientifiche. L’antropomorfismo intrinseco in ogni fede non può che risultare incredibilmente ingenuo e improponibile alla luce delle nostre attuali conoscenze scientifiche del mondo naturale. Le verità biologiche non sono compatibili con la presenza di un dio progettista, né tantomeno di un dio benevolo. Lo stesso meccanismo che ha creato le bellezze e le varietà del mondo vivente ha generato anche le atrocità e la morte. La “teodicea” è la branca della teologia che studia il rapporto tra la giustizia di Dio e la presenza del male nel mondo. Ma i credenti sembrano non rendersi conto che nessun Dio degno di questo nome può accettare una tale assurdità. Basterebbe il solo buon senso, unito ad un minimo di pensiero critico, per comprendere che la religione vive nell’ombra, nel mistero, nella credenza popolare, non serve essere eruditi e nemmeno atei. Questo mi sembra di averlo spiegato nello scritto DEUS SIVE NATURA pubblicato sull’ultimo numero di Odissea, sett. - ott. 2010. In verità le religioni hanno fallito in ogni parte del pianeta; bisogna fondare una spiritualità dell’uomo al di fuori da qualsiasi religione. Questo è anche l’ambizioso scopo del mio Centro Culturale Candide.  

(Intervista raccolta il 22 gennaio 2011 e presente sulla rivista ODISSEA)



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