"La memoria rende liberi. La vita interrotta di una bambina nella Shoah", di Liliana Segre ed Enrico Mentana, 15a ed. Rizzoli 2020
L’indifferenza è quell’atteggiamento di chi, in una determinata situazione, non mostra interessamento, simpatia, partecipazione, turbamento. Se poi la situazione riguarda sé e i propri simili in un medesimo contesto di privazioni e umiliazioni, tale atteggiamento sconfina nell’incoscienza. Ma si tratta di un’incoscienza cosciente – e non c’è ossimoro più calzante per esprimerne l’inammissibilità morale – di quella volontaria e colpevole assenza di partecipazione, di indignazione per il male che ferisce anche se stessi, pur se fatto ad altri, in quanto appartenenti all’umanità.
Se chiediamo a Liliana Segre “come è potuto accadere tutto questo?” lei ci risponderà con una sola parola: indifferenza. La chiave per comprendere le ragioni del male è racchiusa in queste cinque sillabe, perché quando credi che una cosa non ti tocchi e non ti riguardi, allora non c’è limite all’orrore.
Quella bambina ebrea che quasi non sapeva di esserlo - perché nemmeno veniva pronunciata, prima del 1938, la parola “ebreo” a scuola, né dalle compagne di banco né dagli insegnanti – è diventata una donna ebrea che ha scelto di assumersi il peso e la responsabilità di non essere indifferente al proprio passato, di raccontare l’inenarrabile.
È ormai questione di pochi anni e poi non ci saranno più testimoni. E allora, anche i racconti di quelli che hanno ricordato, come Primo Levi, la loro esperienza, susciterà una crescente indifferenza, come avviene per le tante tragedie che si considerano archiviate nei libri di storia.
Il libro della Segre vuole essere invece, come i libri di Levi, un richiamo alla coscienza di ciascuno, a non essere indifferenti, affinché un’immensa tragedia di storia recente, resa possibile da una rete di omertà e indifferenza che copriva mezza Europa, non possa più ripetersi. Chi ha raccontato questo tragico vissuto non è poi sopravvissuto alla constatazione che molte testimonianze non servirono: a differenza di Primo Levi la nostra scrittrice oggi vive e due anni fa è stata nominata senatrice a vita.
Ho sempre considerato l’indifferenza il peggior atteggiamento da tenere in un mondo pur crudele ma perfettibile perché ricco di relazioni e opportunità; non a caso sostengo che alla base della conoscenza ci sia la condivisione, come da statuto del mio Centro Culturale Candide. Quello che di noi è stato ed è nel presente può essere d’aiuto agli altri, può essere un monito a non ripetere errori, essere un’educazione di civiltà, perché la strada per diventare o vittime o carnefici è sempre aperta ed è facile imboccarla se non ci si confronta.
Perché l’indifferenza non è solo di quegli italiani che chiusero gli occhi e si voltarono dall’altra parte: l’indifferenza è anche di chi non vuole testimoniare, di chi non vuole uscire dal proprio ego e raccontare vicende che devono essere scritte per fare riflettere. Nel caso della Segre l’orrore era lì, all’indifferenza del primo metro del cammino per i campi di concentramento, come scrive Enrico Mentana nell’introduzione.
Il vissuto di Liliana Segre viene rievocato – e sappiamo quanto costi rivivere enormi patimenti - non per vanità autobiografica né per necessità esistenziale o terapeutica, ma per partecipazione, sensibilità, commozione, entusiasmo, passione, turbamento, indignazione, stupore, che sono appunto il contrario dell’indifferenza. Solo così la memoria rende liberi non del proprio passato, ma dall’indifferenza, se si conosce la storia.
Il suo libro è la testimonianza, al di là del caso personale, di quella borghesia ebraica ma laica, incapace di concepire il tradimento da parte dell’Italia e del fascismo, perché le leggi razziali arrivarono in un modo del tutto inaspettato e contraddittorio con quanto lo stesso Mussolini più volte espresse in radio circa l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge e circa il suo pensiero di “devoto e fedele alla libertà dei culti”.
Nell’Italia fascista persecutori e perseguitati erano stati parte della stessa società, vestivano allo stesso modo e spesso la pensavano allo stesso modo sul regime. Eppure venne un giorno in cui i primi decisero che i secondi non avrebbero più potuto insegnare o imparare, lavorare o possedere, fare impresa e lavorare, a causa della fede dei loro genitori, peraltro inespressa e non tramandata.
Non sono il solo a dire che il racconto di
questi fatti storici spaventosi servono a tacitare tesi e argomentazioni di chi
vorrebbe ridimensionare o addirittura negare l’Olocausto, e che la memoria
serve a impedire che tutto questo si ripeta. Ma serve ribadirlo. Io penso che
il libro della Segre serva, ancor di più, a renderci conto di come noi italiani
mettemmo ai margini e consegnammo agli sterminatori nazisti parte del nostro
popolo, indistinguibile da noi, e di quanto l’indifferenza per il prossimo
possa avere conseguenze devastanti. “Ma
il colpo più duro fu quando capimmo che i più zelanti tra i nostri aguzzini non
erano i nazisti. Erano gli italiani.!” E suo padre le disse: “Sono italiani quelli che ci picchiano, che ci spingono, che ci scherniscono!”
(p. 90).
Ogni ebreo italiano venne sconvolto dalla indifferenza che troppi coltivarono in sé e per il loro destino. Perché un popolo anestetizzato, abituato all’orrore, è sempre pronto a voltare lo sguardo, a ignorare la richiesta d’aiuto di chi soffre, a tradire la fiducia di un vicino in pericolo. Per questo sostengo che non bisogna mai abbassare la guardia di fronte a misure illiberali e senza fondamento scientifico, alle insidie per la democrazia e per la libertà faticosamente conquistate da nostri avi e padri costituenti.
Milano, 20.12.2020 Giovanni Bonomo – Candide C.C
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