SPORE, di Angelo Gaccione, Interlinea Ed. 2020


Icastici e brevi i versi di Gaccione nella sua recente raccolta SPORE, il quale da sempre si cimenta con la poesia breve e con gli aforismi. Ma questi epigrammi, privi di ogni velleità sapienziale, segnano una tappa essenziale nella produzione letteraria dell’Autore; egli ci mostra quanto le parole semplici, ma scritte in un certo modo e con lieve ironia, possano essere di ciascuno di noi e riferirsi al vissuto di tutti. è per questo che, leggendo, ci viene un certo magone o un nodo alla gola, perché la poesia parla ai sentimenti più che alla ragione, specialmente quando, come in questi versi, ci viene rivelata la ragione dei sentimenti, che è la nostra, pur sempre, umanità: “Tutto il male del mondo non bastò/ a fare dei nostri cuori una pietra.” (p. 33).

Ci ritroviamo spesso incapaci di dimenticare ma dimentichi del vissuto, come color che son sospesi, sul crinale che sta tra attesa e memoria, come dice Alessandro Zaccuri nella presentazione del canzoniere, ma pur sempre capaci di riconoscere e di ascoltare le poesie che suonano, come ci dice Lella Costa nell’introduzione che richiama la poetica di Rilke.
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La passione e l’impegno civile dell’Autore si avvertono anche in quest’opera, specie nella poesia che contiene, con poche ma efficaci parole, le battaglie civili sul disarmo iniziate con lo scrittore Carlo Cassola e il poeta David Maria Turoldo a Milano: “La morte andando per via,/ incontrò la miseria./ “Ci mettiamo insieme?”, le chiese./ “Ho sposato la guerra” rispose,/ sei arrivata tardi.” 

C'è una parola particolarmente avvilita, tra le tante, presente in tutti i popoli che abitano un pianeta dove si sacrifica la ricerca e la cultura in favore delle spese militari e degli armamenti: “Era stata così svilita, che la parola amore/ gli suscitava fastidio/ Non la pronunciava più./ E’ proprio ciò che manca,/ ad essere tanto diffuso./ Come il nome di Dio,/ sulla bocca di tutti.

Come non sentire allora quella tensione etica verso un vivere la laicità, con spirito critico e libero pensiero, a fronte di così tanti conflitti in nome di una parola di tre lettere ancora troppo pronunciata. Non bisogna stare zitti, ma sempre pronunciare, anzi urlare, quella di cinque.

Giovanni FF Bonomo – Candide C.C.


  

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