Un pianoforte Petrof in salotto mi parla con le sue silenziose vibrazioni


Ritrovandomi in salotto il pianoforte a mezza coda Petrof lasciatomi in comodato dall’amico tenore e pianista Giovanni Ribichesu, coamministratore dell’associazione Canto e Incanto e del gruppo omonimo in Facebook, vengo stimolato, oltre che a suonare e a rimettermi a studiare, alle seguenti riflessioni. Anche perché dal pianoforte mi arrivano le (ora silenziose) vibrazioni di tutte i concerti e di tutte le mani di pianisti anche famosi che ne hanno mirabilmente toccato la tastiera.

Agli antichi filosofi e pure agli antichi giuristi non era sfuggito il legame profondo tra l’elemento politico-normativo nelle arti e la dimensione estetica nel diritto. Già quando l’amico si esercitava in arie pucciniane e in brani classici tra i quali l’immancabile J.S. Bach, invadendo la mia casa delle sue armonie perfette costruite su regole altrettanto perfette, la mia mente divagava a ricordare la lunga storia di contiguità tra musica e diritto, fatta di identità culturali profonde, come testimoniano gli inni nazionali, e pure funzioni convergenti, come nel rito antico del processo con la prassi, rimasta come modo di dire, di “cantare” le proprie ragioni. Quanti volte sentiamo infatti, con riferimento all’aver fatto valere le proprie ragioni nel corso di una discussione, l’affermazione “gliele ho cantate”, a testimonianza dei tempi in cui le leggi, nelle liti processuali, venivano esposte in canto.

La “norma” del diritto, che fonda il nostro diritto posto dalle leggi, ha il proprio etimo in nomos (nόμος), termine che la cultura greca attribuiva – come ci ricorda Platone – oltre che alla legge anche al canto nel suo significato di regole armoniche.  

Certamente il diritto è, come la musica, un’arte, l’ars boni et aequi, come troviamo scritto nell’incipit del Digesto giustinianeo. E non è un caso che coloro che operano nel campo del diritto non di rado pratichino anche la musica e/o il canto. Oserei concludere che il vivere armonico tra gli uomini sarebbe possibile se le buone regole fossero osservate insieme ai buoni costumi civili, i boni mores, in un’equilibrata e armonica fusione tra morale e diritto, che dovrebbe ispirare la saggezza del legislatore.

Avv. Giovanni Bonomo- Candide C.C.,  31.10.2018




P.S. Ringrazio la collega di Milano avv. Lorena Manna per avermi ispirato queste riflessioni con il suo ricco e elaborato articolo, sulla rivista 1/2018 del Consiglio dell'OdA di cui è direttrice, “Musica, diritto e harmonia mundi. Noterelle a margine del concerto per l’inaugurazione dell’anno giudiziario” che ho letteralmente rapinato e al quale rinvio per ogni approfondimento sui rapporti tra musica e diritto.





Commenti

Post popolari in questo blog

Mitridatizzati e anestetizzati proseguiamo verso il baratro

Cristianesimo religione politeista?

Much ado about nothing